Grazie Mille

per essere entrati nel mio Blog.
Spero possiate trovare nelle numerose sezioni qualcosa che vi possa interessare.
Vi auguro una buona lettura e vi ricordo che se volete potete lasciare un commento.

Valentina =^_^=

PS: Per vedere i miei lavori potete andare alla sezione "Pensieri e opere mie", o visitare il mio sito http://www.magicaartista.com/.
E' possibile richiedere opere su commissione, scrivendo all'indirizzo e-mail: magicaartista@hotmail.com

venerdì 18 luglio 2008

La mia Tesina di Maturità..

Lo Sò..lo sò....forse non era il caso di riempire il blog e le vostre menti con questo mega pippolone di roba..però frugando tra le vecchie cartelle l'ho trovata e non ho potuto trattenere il desiderio che qualcuno la leggesse.
Sò e mi rendo conto con lucidità che è piena di errori, del resto è fatta nel tempo e con l'ansia che un esame di maturità comporta, però ricordo quanto mi piaque farla.

E ho voluto condividerla con voi.

Vi prego...siate clementi.

******* Valentina B.F.
Classe V A
A.S: 2005/06



Il fumetto


Sommario


1)Introduzione…………………………………………………………………..pag. 2


2)Generalità……………………………………………………………………..pag. 2


3)Il fumetto come mezzo di comunicazione visiva……………………………..pag. 3


4)Il fumetto come mezzo di denuncia sociale: “I tre Adolf”……………………pag. 4


5)La realizzazione di un fumetto………………………………………………..pag. 7


6)Storia del fumetto……………………………………………………………..pag. 11


7)Cronistoria illustrata…………………………………………………………..pag. 16


8)Tra letteratura, arte e fumetto…………………………………………………pag. 27


9)In conclusione…………………………………………………………………pag. 34


10)Bibliografia……………………………………………………………………pag. 35






Introduzione

“…qualunque cosa accada, se non si perde la speranza…il domani arriva sempre.”

Una frase che sembra uscita dalla penna di un poeta misterioso, scritta in nero su di una pagina bianca contornata da fantastiche immagini di paesaggi, di personaggi che seguono il corso della loro esistenza secondo uno schema preciso. E qui, in una pagina come questa, in tante pagine come questa, s’incontrano le arti. L’arte letteraria si fonde con l’arte figurativa in un’armonia di bianco e nero chiamata Fumetto.
Il fumetto è una forma d’arte spesso sottovalutata in quanto di facile ed immediata lettura, ed erroneamente ritenuta indirizzata ad un pubblico infantile. In realtà ciò che si nasconde dietro è qualcosa di molto più complesso ed elaborato, molto spesso incomprensibile a prima vista. Quel che il fumettista vuol trasmettere non è solo un semplice racconto, ma è un insieme di fatti, emozioni e sensazioni.
Molto più semplicemente il fumetto è un mezzo per raccontare una storia in modo diretto e molto più esplicito di quanto si possa fare in letteratura. D’altro canto esso non potrebbe esistere se non ci fosse una storia (chiamata in gergo storyboard) scritta precedentemente. E quindi cercheremo qui di avvalorare una tesi, ovvero che il fumetto è un’opera non solo grafica (e per certi versi artistica), ma anche letteraria.



Generalità

Il termine fumetto indica propriamente la nuvoletta, o balloon, contenente il parlato dei personaggi delle tavole di un racconto figurato; per estensione il termine indica il racconto stesso formato da una serie di disegni con brevi testi di raccordo e dialoghi quasi sempre inscritti in nuvolette che escono dalla bocca dei personaggi. La struttura narrativa del fumetto varia dalla semplice disposizione delle vignette in sequenza temporale e spaziale, come nelle “strisce” della stampa quotidiana (comics strip, in francese bande dessinée), ai montaggi, inizialmente a griglia regolare e via via sempre più complessi e sofisticati, in apposite tavole di supplementi a colori, giornalini, riviste specializzate o albi (comics book), destinati originariamente ad un pubblico infantile e giovanile, ma nella seconda metà del Novecento anche ad un pubblico adulto; il termine italiano fumetto comprende in se tutte queste differenti forme di presentazione delle vignette, mentre l’inglese comics allude alle origini umoristiche del genere. Strettamente intrecciata a quella della grafica, della pittura e del cinema, sia pur con una sostanziale autonomia, la storia del fumetto è insieme specchio delle ideologie di massa, fronte di nuove mitologie collettive e, almeno dagli anni Cinquanta, strumento di critica ai modelli di comportamento dominanti.




Il fumetto come mezzo di comunicazione visiva.

Ed è proprio perché ritenuto “specchio delle ideologie di massa” che il fumetto diventa il mezzo per eccellenza, insieme al manifesto pubblicitario, di comunicazione visiva. L’importanza della comunicazione visiva è largamente dimostrata dagli effetti ottenuti nella Seconda Guerra Mondiale e nel periodo precedente, cioè quello dell’affermazione dei regimi totalitari del Fascismo (in Italia), Nazismo (in Germania) e del Comunismo (in Russia). Miliardi furono le locandine di propaganda realizzate per convincere la popolazione nazionale che questi tipi di regime guidati da quelle tipologie di uomini fossero quelle più indicate per far crescere e diventare potente la propria nazione. Per propaganda si intende la diffusione programmata e organizzata di messaggi miranti a creare un’immagine positiva o negativa di determinati fenomeni o ideologie e quindi a orientare i comportamenti di un vasto pubblico. Per quanto riguarda l’aspetto politico dei regimi sopraccitati, la propaganda ha assunto un significato per lo più negativo; ma più in generale è divenuta uno degli strumenti fondamentali di acquisizione del consenso, sul piano interno come internazionale, e in quanto tale utilizzata da tutti i governi e le forze politiche. Gli strumenti di cui si avvale la propaganda sono i mezzi di comunicazione di massa, determinate manifestazioni pubbliche (adunate e celebrazioni), i comizi, ma anche forme artistiche e culturali (come il cinematografo, o anche il fumetto). Naturalmente, gli effetti della propaganda sono tanto più negativi quanto minore è il pluralismo nell’accesso alle fonti di informazione e la libertà di attivare forme di contropropaganda. Perciò tale fenomeno è stato particolarmente estremizzato nei regimi totalitari. Alcune caratteristiche fondamentali del messaggio di propaganda sono: la semplificazione (riduzione della complessità del messaggio in modo che possa essere compreso da tutti, sino al caso limite dello slogan); la saturazione, cioè la ripetizione continua del messaggio; la deformazione e la parzialità, cioè l’informazione tendenziosa, che esalta alcune posizioni, ne denigra o ridicolizza altre, mette in luce solo alcuni aspetti della verità o addirittura la falsifica.
Forte e deciso fu il messaggio lanciato dalle vignette satiriche che iniziavano a diffondersi come mezzo di propaganda. Anche attualmente il fumetto viene impiegato come mezzo di comunicazione, non strettamente visiva, ma anche letteraria.
Esistono diversi tipi di comunicazione, verbale, gestuale, visivo, letterale e altri, ma il fine di tutti questi è uno solo: trasmettere un messaggio. E’, forse, scontato dire che per far si che si crei una comunicazione c’è la necessità che esistano un emittente, ovvero colui che vuole trasmettere un messaggio, e un destinatario, ovvero colui a cui è indirizzato. Nel caso del linguaggio visivo, il messaggio che si desidera trasmettere (che può essere un’immagine) viene percepito dal ricevente in maniera continua. Infatti un’immagine già realizzata continua a trasmettere il proprio messaggio, indipendentemente dall’autore. L’osservatore interpreta l’immagine in modo autonomo, leggendola dal proprio punto di vista, tenendo conto delle proprie esperienze percettive, della propria cultura e sensibilità. Pertanto se colui che realizza l’immagine non vuole essere frainteso, dovrà produrre un messaggio chiaro, con forme adatte allo scopo comunicativo che egli si prefigge. L’immagine richiede all’osservatore un ruolo attivo nella decodificazione delle sue forme e dei suoi significati e, poiché in ogni forma ognuno tende a leggere ciò che sa o ciò che conosce, essa può risultare estremamente ambigua. Per comprendere affondo il messaggio l’osservatore deve innanzitutto conoscere il codice comunicativo, oltre che il contesto culturale in cui è prodotta l’opera. Anche il contesto comunicativo, ovvero il contesto in cui avviene la comunicazione, è un punto fondamentale per comprendere il messaggio.Ovviamente esistono diversi tipi di messaggi che si possono trasmettere attraverso le immagini, e possono essere distinti sulla base della funzione comunicativa (anche se spesso un’immagine ha più funzioni). Abbiamo:
-La funzione informativo-descrittiva: le immagini vengono utilizzate per documentare fatti di cronaca, per denunciare particolari avvenimenti e problemi sociali, come per esempio aviene con le fotografie pubblicate sui giornali. In altri contesti le immagini vengono utilizzate per descrivere un oggetto o un ambiente, oppure per visualizzare dei concetti attraverso degli schemi grafici e disegni.
-La funzione espressivo-emotiva: le immagini hanno il fine di mettere in luce la sensibilità dell’autore, i suoi sentimenti, il suo immaginario. In questo tipo di messaggi viene messo in evidenza il ruolo centrale dell’emittente che spesso interpreta la realtà mettendo in evidenza la propria interiorità.
-La funzione estetica: In delle immagini in cui prevale il fine estetico, l’attenzione dell’osservatore è automaticamente portata a considerare in modo particolare l’aspetto formale dell’immagine, ossia la composizione, i colori, la luce, etc. Rispetto alla precedente l’attenzione si sposta dall’autore all’opera.
-La funzione esortativa: In questo caso l’immagine spinge l’osservatore a fare o non fare una determinata cosa. Un esempio può essere un cartello stradale, che impone un determinato comportamento, oppure un manifesto pubblicitario che cerca di indurre il destinatario all’acquisto di un determinato prodotto, suscitando emozioni, ricordi, curiosità, etc.
-La funzione metalinguistica: Il termine “metalinguistico” significa “che stà al di sopra o al di là della lingua” e si riferisce alla possibilità di utilizzare il linguaggio visivo per produrre immagini che illustrino o spieghino il linguaggio stesso. Un esempio lampante sono le tavole cromatiche di Itten.
-La funzione fatica o di contatto: Il messaggio visivo in questo caso è utilizzato per stabilire e consolidare il contatto tra l’autore/emittente e il destinatario del messaggio. L’attenzione è in questo caso incentrata sul canale comunicativo: se ad esempio una copertina di una rivista riesce ad attirare l’attenzione del destinatario, significa che il canale funziona in modo adeguato.
Un chiaro esempio di come queste funzioni siano spesso sovrapposte è il fumetto. Infatti questo si pone come scopo la trasmissione di un messaggio innanzitutto di tipo informativo (il raccontare una storia). In secondo luogo esplica una funzione estetica, in quanto le immagini che compongono la storia vengono spesso trattate come se fossero vere e proprie opere d’arte a sé stanti. L’intento del fumetto poi è quello di far provare delle sensazioni alla persona che lo legge: allegria nel caso dei fumetti comici, o commozione nel caso dei fumetti cosiddetti “per ragazzine”; e quindi esplica una funzione espressivo-emotiva. Inoltre nel corso della storia il fumetto, o per meglio dire la vignetta satirica, è stato usato come mezzo di denuncia sociale, e quindi con una funzione di contatto, che permetta al pubblico di comprendere più affondo i problemi della società in cui loro stessi vivono.



Il fumetto come mezzo di denuncia sociale: “I tre Adolf”

Un esempio evidente di come il fumetto sia stato utilizzato spesso come mezzo di denuncia sociale lo dà Tezuka Osamu, creatore del fumetto “I tre Adolf”.





La storia racconta, sullo sfondo inquietante dell'ascesa del nazismo e della Seconda Guerra Mondiale, le vicende di due ragazzi residenti a Kobe: Adolf Kaufmann, di madre giapponese e padre tedesco (iscritto al Partito nazista e diplomatico del governo tedesco) e Adolf Kamil, figlio di pasticceri ebrei. I destini dei due giovani fatalmente s’incontreranno mentre, all'orizzonte, si staglia la minaccia del terzo, ben più noto, Adolf e dell'antisemitismo che renderà impossibile l'amicizia tra i due ragazzi. Ma un tremendo segreto unirà e sconvolgerà le loro esistenze, lasciando dietro di sé una scia di sangue. Quale segreto? L'antisemita per eccellenza, l'ideatore della Soluzione finale, è in realtà un ebreo. Attraverso questa vicenda paradossale e provocatoria, Tezuka rivisita l'alleanza tra il Terzo Reich e il Giappone.
La scelta di Tezuka di scrivere e realizzare un’opera come questa è sicuramente stata dettata dalla sua volontà di far capire meglio il vero significato dell’influenza che ha avuto il nazismo sui popoli di tutto il mondo. Il forte impatto che ha avuto il nazismo sia sul corpo sia sugli animi delle persone è stato devastante ed incontrollabile. Il desiderio dell’autore di far rivivere le stesse sensazioni ed emozioni che realmente furono vissuti in quegli anni, porta la sua opera ad un livello superiore, che lo allontana sicuramente dall’idea comica originaria di fumetto, e lo avvicina più precisamente ad un’opera a livello artistico, sia figurativo che letterario.

Per comprendere meglio: il regime nazista.
Nel 1889 nasce colui che riuscirà a sterminare un intero popolo, cioè il terzo protagonista della storia di Tezuka, Adolf Hitler. In seguito alla delusione comune a molti giovani per la sconfitta e l’umiliazione per i trattati di pace, (a cui viene attribuita la responsabilità ai “traditori di novembre”, i socialdemocratici repubblicani) il nostro Adolf fonda nel 1920 un piccolo partito di destra dal nome Partito nazionalsocialista operaio tedesco (Nsdap). Sulle orme di Mussolini, creò anche lui delle squadre militari (i cosiddetti reparti d’assalto), con i quali tentò nel 1923 un colpo di stato in Baviera, che fallì e procurò ad Hitler un arresto. Appena libero però tentò l’ascesa al potere con mezzi legali: il suo partito infatti nel 1932 risultò primo con il 37,3% dei voti, e il 30 gennaio dell’anno dopo venne nominato cancelliere dal presidente Hindenburg, e assunse la guida del governo. I motivi della buona riuscita dell’impresa di Hitler sono diversi. Intanto l’influsso della propaganda e il fatto che l’ideologia hitleriana mescolasse, in modo confuso ma efficace, ingredienti capaci di attirare gli strati più diversi della società, permisero di ottenere un enorme successo presso un elettorato omogeneo, giovanile, più maschile che femminile, più protestante che cattolico, più diffuso nelle campagne e nelle piccole città piuttosto che nei grandi centri. La verità è che Hitler garantiva a tutti, ceti medi o classe alta, delle garanzie di guadagno e di crescita economica. Il grande risentimento che il popolo tedesco sentiva nei confronti di una guerra deludente per i risultati ottenuti, permise ad Hitler di far crescere nell’animo delle persone delle ideologie di supremazia (del popolo tedesco e della Germania), che portarono alla nascita di quelli che vengono definiti antisemitismo e razzismo. Più precisamente l’antisemitismo propone la revoca dei diritti civili degli ebrei, che divennero il capro espiatorio della situazione di crisi. Venne infatti attribuita al popolo ebreo la colpa della sconfitta della Germania. Hitler non solo predicava l’odio verso gli ebrei, ma li reputava una razza inferiore, contrapponendovi i tedeschi ariani come razza eletta.
Ovviamente un altro fattore che portò al potere il Fuhrer fù anche la progressiva e irreversibile crisi della repubblica di Weimar, che ebbe la colpa di non riuscire a elaborare efficaci strategie economiche, e che portò quindi il paese alla crisi.
Hitler, dal canto suo, aveva provveduto a rendere più forte e stabile il suo partito, organizzandolo con una struttura gerarchica, dotata di strutture paramilitari forti e aggressive, come le SA e soprattutto, dal 1926, le SS (Shultz-Staffeln, “Squadre di protezione”), i reparti scelti di assoluta fedeltà a Hitler che sotto la guida di Heinrich Himmler avrebbero seminato negli anni seguenti il terrore in Germania e in Europa. Ma per ottenere dei risultati Hitler dovette prima salire al potere di un governo di coalizione con i partiti conservatori. Tuttavia in meno di sei mesi riuscì a distruggere la democrazia e costituire uno stato totalitario. Nel marzo 1933 vennero indette nuove elezioni che videro la vittoria di Hitler, ottenuta grazie a intimidazioni. La più forte fù certamente l’incendio del Reichstag, ovvero il parlamento, la cui causa venne attribuita ai comunisti. Di conseguenza il Partito Comunista venne dichiarato fuori legge e Hitler ottenne dal parlamento i pieni poteri. In pochi mesi ogni garanzia costituzionale e ogni libertà e possibilità di dissenso vennero abolite, i giornali di opposizione furono chiusi, e lo stesso accadde alle sedi sindacali; quindi venne sciolto il partito socialdemocratico. Numerosi dirigenti politici vennero inoltre arrestati o direttamente eliminati e il 20 marzo 1933 venne costruito a Dechau il primo campo di concentramento per prigionieri politici. Il 14 luglio 1934 il governo emanò una legge che dichiarava disciolti tutti i partiti, salvo quello nazionalsocialista, e in questo modo venne progressivamente eliminata ogni opposizione, esterna o interna al partito. La notte del 30 giugno 1934, ovvero la “Notte dei lunghi coltelli”, vennero eliminati i principali dirigenti delle SA. Alla morte di Hindenburg nell’agosto del 1934 Hitler assunse anche la carica di capo dello stato, concentrando su di se tutti i poteri. Venne creata una vera fusione tra partito e stato, il che significa che non esistevano più organi istituzionali in grado di esprimere una volontà politica autonoma o comunque diversa da quella da quella del partito e del suo capo. Il fuhrer era l’unica fonte del diritto e disponeva di un potere assoluto in ogni settore.
Il regime totalitario nazista disciplinò la formazione dei giovani (attraverso il controllo della scuola e delle attività della Gioventù Hitleriana), la cultura, la scienza (molti intellettuali furono costretti all’esilio, come ad esempio Einstein, o Thomas Mann). Inoltre l’ideologia della disuguaglianza si diffuse in maniera impressionante, e l’antisemitismo venne ufficializzato con le leggi di Norimberga del 1935 che privavano i non ariani della cittadinanza del Reich e proibivano i matrimoni fra ariani ed ebrei. Ne fù una testimonianza la “notte dei cristalli” del 1938, che portò alla distruzione dei negozi ebrei, alla requisizione dei beni, agli arresti e le deportazioni nei campi di concentramento, e all’obbligo di portare sugli abiti la stella gialla, che culminò nel genocidio.

L’alleanza tra Germania e Giappone nella Seconda Guerra Mondiale
La seconda guerra mondiale è stata una guerra globale a cui parteciparono da una parte i paesi dell'asse fascista, ossia Germania, Giappone e Italia, e dall'altra i paesi alleati antifascisti e le forze antifasciste mondiali. Questa guerra, che ha arrecato immani tragedie all'umanità, si è conclusa con la vittoria delle forze pacifiste e democratiche mondiali nella lotta all'aggressione fascista. Dopo la conclusione della prima guerra mondiale comparve nel mondo una grave crisi economica, mentre le forze fasciste caratterizzate dall'estremismo nazionalista e dal totalitarismo si facevano sempre più forti in Germania, Giappone e Italia. I leader fascisti Hitler e Mussolini presero il potere in Germania e Italia. Il Giappone istituì nel paese una dittatura militare fascista basata sul sistema del Tenno, applicando all'interno un regime dittatoriale e all'esterno un'aggressione espansionistica alla ricerca dell'egemonismo. Senza rassegnarsi alle punizioni e ai vincoli imposti dopo la sua sconfitta nella prima guerra mondiale, la Germania ristrutturò la sua macchina militare e nel 1936, associandosi all'Italia, inviò militari in Spagna, annettendosi nel 1938 l'Austria e smembrando la Cecoslovacchia. Insoddisfatta delle assegnazioni seguite alla prima guerra mondiale, nel 1935 l'Italia si annesse l'Etiopia e nel 1939 invase l' Albania. Nel 1927, durante la "Conferenza sull'Oriente", il Giappone stabilì il suo piano di aggressione e occupazione militare della Cina, conquista dell'Asia e ricerca dell'egemonismo mondiale. Nel 1931 occupò la Cina nord-orientale e nel luglio 1937 scatenò su scala generale la guerra di aggressione al nostro paese. Nel corso della loro aggressione ed espansione, Germania, Giappone e Italia entrarono in collusione, diventando il focolaio della guerra mondiale. Nel 1936 Italia e Germania crearono l'asse Roma-Berlino, mentre la Germania firmò col Giappone l'accordo sull'"Alleanza internazionale anti-comunista", a cui l'Italia aderì l'anno successivo. I tre paesi formarono in tal modo un'asse. Nel maggio 1939 Germania e Italia firmarono il "Patto d'acciaio" per la costituzione di un'alleanza militare. Il 27 settembre 1940 a Berlino, Germania, Giappone e Italia firmarono il "Patto di alleanza militare", formando un gruppo di aggressione e costringendo nello stesso tempo Romania, Ungheria, Bulgaria ed altri paesi ad aderire all'asse.
La frenetica aggressione di Germania, Giappone e Italia costrinse le forze antifasciste mondiali a coalizzarsi gradualmente. Prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti tollerarono l'aggressione di Germania, Giappone e Italia, impegnandosi a fondo nel complotto di Monaco ed applicando una politica di compromesso nei loro confronti. Tuttavia le concessioni non riuscirono a soddisfare l'ambizione degli aggressori. Il Giappone scatenò per primo le fiamme della guerra in Cina. Sotto la direzione del PCC, il popolo cinese si sollevò contro l'aggressione giapponese, aprendo per primo il vasto campo della guerra antifascista in Asia. Nel settembre 1937 la Germania attaccò la Polonia, facendo scoppiare la seconda guerra mondiale. In seguito Gran Bretagna e Polonia dichiararono guerra alla Germania. Nel giugno 1941, annullando il "Patto di non aggressione reciproca tra Germania e Unione Sovietica", la Germania attaccò su vasta scala l'Unione Sovietica, per cui il territorio sovietico diventò il campo di battaglia principale della guerra antifascista mondiale. Dopo lo scoppio della guerra in Europa, gli Stati Uniti assunsero una posizione neutrale. Con la caduta dell'Europa del nord in mano al nemico, la Francia sconfitta fu costretta a capitolare, mentre la Gran Bretagna si ritirò nelle sue isole. Nel settembre 1940, percepita la minaccia del fascismo, gli Stati Uniti iniziarono a intervenire nella guerra in Europa nella forma dell' assistenza. Nel 1941 iniziarono a fornire aiuti militari all'URSS ed elaborarono con la Gran Bretagna la Carta Atlantica mirante ad esporre una posizione contraria all'aggressione. Nel dicembre 1941 il Giappone sferrò all'improvviso un attacco a Pearl Harbor, sede di una base militare delle truppe americane. Di conseguenza Stati Uniti e Gran Bretagna furono costretti a dichiarar guerra al Giappone, mentre anche Germania e Stati Uniti e Italia e Stati Uniti si dichiararono guerra. In questo modo furono coinvolti nella guerra tutti i principali paesi del mondo.
Per contrattaccare la folle aggressione fascista, Cina, Unione Sovietica, Stati Uniti, Gran Bretagna e altri 22 paesi firmarono il primo gennaio 1942 a Washington la "Dichiarazione delle Nazioni Unite", formando ufficialmente un'alleanza antifascista mondiale. In seguito i principali paesi alleati tennero parecchi summit, consultandosi sulla politica generale contro la guerra antifascista e consolidando ulteriormente l'alleanza.




La realizzazione di un fumetto

Davanti alla complessità, alla ricchezza di particolari di una tavola a fumetti, potremmo ammirare la bravura del disegnatore e pensare che sia impossibile per noi realizzare qualcosa di altrettanto valido. In realtà il procedimento da seguire per la realizzazione di un fumetto è abbastanza semplice. E’ necessario però conoscere alcune nozioni base d’anatomia, e ovviamente, saper disegnare. Gli strumenti base per la realizzazione sono semplici:

-Fogli da disegno: In genere, per disegnare i fumetti si usa carta di alta qualità (senza legno), o fogli da disegno. Rispetto ai fogli da disegno semplici è meglio utilizzare carta di alta qualità, per evitare che le cancellature o l’inchiostro la rovinino. La carta senza legno è solitamente stampata con una cornice celeste millimetrata, e riquadrata proprio per consentire al disegnatore di suddividere facilmente le vignette e indicare con precisione le parti da escludere. I formati più utilizzati sono B4=257mm x 364mm e A4=210mm x 297mm.

-Matite: La maggior parte dei disegnatori professionisti usa i portamine. Alcuni affermano di utilizzare matite molto leggere per evidenziare i particolari dei disegni più piccoli, e matite con un’impugnatura più ampia per realizzare disegni piuttosto grandi senza appesantire il tratto. Dato che esistono diversi tipi di matite secondo la durezza della mina - HB, B, H, 2B e così via – bisogna scegliere quella più adatta in base alla pressione che imprimete. Il portamine e le matite con mina blu sono molto utili: il colore blu non è visibile nella stampa e di conseguenza i disegnatori lo usano per specificare le sfumature ai propri assistenti oppure per indicare dove è necessaria una certa tonalità e dove non ci sono ombreggiature o disegni.

-Gomme e cancellini: Le gomme da cancellare più comunemente usate sono del tipo bianche. Se rimangono sulla carta, i residui delle cancellature possono rovinare l’effetto dei retini e quindi bisogna assicurarsi che il foglio e il tavolo da lavoro siano sempre puliti. Esiste anche una speciale gomma da cancellare chiamata gomma-pane che raccoglie automaticamente i residui, lasciando il foglio pulito. E’ inoltre reperibile una sorta di gomma-cancellino molto utile per cancellare piccole macchie e linee molto sottili. La gomma abrasiva serve invece per ammorbidire le sfumature ed esprimere un senso di omogeneità o di vaghezza.

-Scatola luminosa: Questo strumento serve ad illuminare lo schermo e consente di disegnare un oggetto attraverso la luce che proviene da sotto il foglio.

-Penne e pennini: Per disegnare i personaggi si usano comunemente il pennino G e quello a punta rotonda. Alcuni fumettisti preferiscono invece utilizzare il pennino Turnip per la robustezza del tratto ottenuto. La marca inglese Gillots dispone di sei diversi tipi di pennini, da quelli a punta fine al tipo G, caratterizzati da un tratto molto morbido e scorrevole.

-Portapennini: Dato che la penna si tiene in mano per molto tempo, se la stringete troppo forte potreste ritrovarvi con il classico callo dello scrittore. Quando comprate un portapennini, ricordatevi che nonostante la maggior parte di essi sia compatibile con i pennini standard G, Turnip e scolastici, quelli a punta rotonda ne richiedono uno apposito.

-Inchiostro: L’inchiostro più usato è quello di china in quanto non secca così velocemente come il Pilot e per evitare problemi bisogna sempre tenere a portata di mano un rotolo di carta assorbente per eliminare gli eccessi di inchiostro. L’inchiostro Pilot, utilizzato anche per scrivere, è resistente all’acqua e si usa anche per disegnare a colori. Comunque oggi sono reperibili molti altri tipi di inchiostro di buona qualità, soprattutto impermeabili. L’intensità del nero, compreso il Cartoon Black (nero per fumetti) è maggiore rispetto all’inchiostro Pilot ed il risultato è molto pulito e definito.

-Penne a punta fine: Dato che per disegnare fumetti o cartoni non è richiesta una precisione al millimetro, alcuni artisti usano penne simil-china a punta fine perché sono facilmente reperibili e si conservano molto bene.

-Penne feltro con punta a pennello: Oggigiorno, queste penne speciali vengono comunemente utilizzate per le parti in nero, mentre per colorare zone molto ampie è più indicato il pennarello che serve anche per evidenziare i riflessi dei capelli.

-Pennelli: I pennelli con punta molto sottile sono particolarmente indicati per effettuare le correzioni con la tempera bianca o il fluido correttore. La correzione può essere più o meno precisa a seconda del tipo di pennello utilizzato.

-Righette: Solitamente, per tracciare linee rette si usano righelli dal bordo smussato provvisti anche dell’indicazione dei millimetri che risulta molto utile. Bisognerebbe aere almeno tre tipi di righette: una da 14cm per i lavori di precisione, una da 30cm per disegnare le cornici ed una da 40-50cm per grandi prospettive. Le righette con il bordo in metallo sono molto utili perché non vengono danneggiate quando si usa il cutter (o taglierino).

-Curvilinee: Quando si utilizzano i curvilinee o i cerchiografi bisogna assicurarsi che abbiano il bordo leggermente smussato per poter usare l’inchiostro. I dischetti mobili a forma rotonda si usano per evitare eventuali infiltrazioni, e si fissano sul retro del righello in modo da rialzarlo leggermente dal foglio.

-Cerchiografi: E’ sempre utile tenere a portata di mano questi strumenti per poter disegnare cerchi ed ellissi.

-Compassi: I compassi sono molto utili non soltanto per disegnare i cerchi, ma anche per combinarli con il cutter per tagliare i retini.

-Retini: I retini sono diventati ormai strumenti indispensabili per poter disegnare i fumetti. Prima di applicarli, bisogna assicurarsi che il foglio sia completamente pulito e bisogna rimuovere gli eventuali residui delle cancellature perché, se si dovessero attaccare al foglio dei retini, non si potrebbe più utilizzare. Questi fogli sono confezionati singolarmente in bustine di plastica in cui devono essere riposti dopo l’uso. Il retino Letraset n° 61 prende il nome di Screen-Tone per la particolare tonalità ed il formato dei suoi puntini. Il Letraset n° 684 ha un effetto sabbia e di conseguenza è detto punto-sabbia. I retini hanno tonalità di puntini che creano i mezzi toni dal nero al bianco. Esistono anche vari tipi di retini, come ad esempio quelli da usare per gli sfondi o quelli specifici per gli abiti o gli altri tipi di tessuto. Sono anche reperibili i retini trasferibili ed il modello “taglia e incolla”.

-Portfolio: Il portfolio è una borsa speciale creata appositamente per custodire e trasportare i disegni ed è l’ideale per proteggere il proprio lavoro ovunque si vada.

Ora seguiremo il percorso del fumettista passo per passo, in modo da capire più approfonditamente come si crea un fumetto.
Inizialmente bisogna creare la storia, e per farlo bisogna stendere prima un copione generale con i vari appunti, poi in seguito trascrivere lo sviluppo della storia pagina per pagina. A questo punto si può iniziare a creare le immagini per la storia.
Innanzitutto bisogna definire i lineamenti dei personaggi, e per fare questo occorre studiare l’anatomia del corpo umano. Solitamente i personaggi dei fumetti hanno caratteristiche che li rendono umoristici o che mettono in rilievo il ruolo da essi svolto, perciò ad una rappresentazione di tipo realistico se ne preferisce una più funzionale, che, ad esempio, esaspera i lineamenti del volto per potenziare la loro espressività. Un esempio lampante è dato dai manga giapponesi, che ingrandiscono gli occhi del personaggio fino a renderli irreali, con lo scopo di farli apparire più espressivi. Ma prima di poter deformare a proprio piacimento i tratti del viso, bisogna prima essere in grado di disegnare la testa umana, conoscere le componenti osteologiche e miologiche, e aver chiare le proporzioni tra le parti.
In seguito al delineamento dei personaggi, sia fisico sia caratteriale, si crea una bozza dell’intera storia, decidendo le varie inquadrature e l’andamento delle scene in ogni pagina. Dopo lo schizzo iniziale a matita si ripassano i contorni a penna e si riempiono le parti nere con l’inchiostro di china. Nel caso ci siano sbavature si possono effettuare dei ritocchi con della tempera bianca. Inoltre si possono utilizzare dei retini, per creare ombre o effetti particolari. In questo modo, spiegato a grandi linee, viene realizzata una pagina di fumetto, ma i lavori veri e propri sono molto più lunghi di quello che può sembrare.
Per poter creare i personaggi i fumettisti ancora inesperti devono prima avere dei riferimenti. Conoscendo l’anatomia del corpo, come abbiamo già detto, è possibile poi modificarla a proprio piacere, a seconda delle necessità. Lo studio dell’anatomia non è comunque una cosa semplice e sbrigativa, perché non solo bisogna conoscere l’apparato scheletrico e il sistema muscolare in tutte le sue componenti principali, ma bisogna conoscere anche le varie forme che essi assumono in relazione al movimento o alle varie situazioni che si possano venire a creare. Sulla realizzazione del fumetto ci sarebbe molto da dire, ma è meglio sintetizzare in maniera concettuale i punti principali da seguire, innanzitutto per la creazione della figura dei personaggi.

1.La testa e il viso: La testa è composta da due parti, quella superiore del cranio e quella inferiore della mascella, che si uniscono diventando una cosa sola. Per verificare che la parte sinistra e quella destra del viso siano perfettamente bilanciate bisogna tracciare anche l’asse centrale. Spesso per disegnare un viso si comincia con un cerchio che viene attraversato al centro da una linea orizzontale: questo metodo serve per semplificare la visualizzazione della testa e della parte superiore del viso. Inoltre viene tracciata una linea parallela all’asse orizzontale che serve come riferimento per gli occhi e le orecchie. Bisogna inoltre considerare che il viso può essere visto da diverse angolazioni, e che per capirne il movimento basta inscrivere la testa in un cubo, tracciare le linee di costruzione normalmente e poi piegarle ad angolo. Inoltre la struttura della testa si adegua di volta in volta alla struttura fisica dei vari personaggi. Ovviamente a seconda della prospettiva variano le dimensioni delle varie parti del viso. Ad esempio, guardando una figura dall’alto al basso la distanza fra gli occhi e sopracciglia aumenta, mentre diminuisce se si guarda dal basso verso l’alto perché il sopracciglio sporge in avanti rispetto agli occhi. Bisogna tener conto inoltre del fatto che i personaggi non avranno sempre la stessa espressione, e in base alle sensazioni o emozioni che essi provano, o anche in base all’età, cambia la forma delle varie parti del viso (sopracciglia, occhi, naso, bocca, principalmente). Dal viso dei personaggi si può comprendere anche il loro carattere, e per questo è importante definirli in principio.

2.I capelli: Dato che i personaggi si muovono o che il vento soffia, bisogna saper disegnare anche i capelli in movimento per sottolineare l’effetto dinamico. Il cosiddetto “effetto-vento” è determinato dalla direzione in cui si svolge il movimento. Inoltre i capelli seguono sempre i movimenti del corpo, e sono soggetti alla forza di gravità.

3.Il corpo: Per imparare a disegnare il corpo bisogna conoscere la struttura ossea ed esercitarsi anche a schizzare dei nudi. Per iniziare si può inserire il corpo in una scatola come già fatto con il viso in precedenza. Bisogna poi immaginare per un momento che le articolazioni e l’addome siano delle sfere, e si possono schizzare così velocemente i vari blocchi dei muscoli che andranno poi rifiniti. Questo esercizio è molto utile per capire la struttura tridimensionale del corpo. Si potranno allora andare a distinguere poi ad esempio il deltoide ed il bicipite, per quanto riguarda il braccio. Si può per cui ora disegnare il corpo umano con il sistema dei blocchi facendo riferimento alla linea dell’asse centrale che scorre lungo il corpo e alla cura del movimento. L’asse centrale è il segreto per equilibrare correttamente la parte sinistra e quella destra del corpo. Bisogna considerare che esistono due tipi di linee: quella per disegnare la parte frontale e quella per il lato posteriore. Per ottenere una posa naturale in piedi basta tracciare l’asse centrale sul lato visibile. La linea centrale deve inoltre armonizzarsi con il movimento, dato che qualche volta essa, se tracciata sul lato visibile, si può rimpicciolire a causa della torsione della schiena o per altri movimenti. Si possono disegnare moltissime pose con il metodo dei blocchi, ma se si tratta di angolazioni particolari il risultato migliore si ottiene usando lo scheletro come punto di riferimento. La proporzione del corpo si decide in base al numero di lunghezze della testa, quindi bisogna prima chiedersi quante ne occorrono.

4.Mani e piedi: Per disegnare le mani e i piedi si usa ancora il metodo dei blocchi. Per le mani il particolare da tener più in considerazione è sicuramente il pollice, che ha molta più mobilità delle altre dita ed è posizionato lateralmente rispetto alle altre. Bisogna sempre ricordarsi che le ossa sono ricoperte da muscoli e, nelle mani, fare molta attenzione alla membrana interdigitale. Un modo per rappresentare invece i piedi correttamente consiste nel far finta che la caviglia sia una sfera, inserendovi anche quella del tallone e aggiungendo poi con calma tutte le altre parti. La forma della pianta del piede assomiglia alla suola di una scarpa, immaginando il piede così si può visualizzare l’immagine in movimento con più facilità.

5.Deformazione: Per effetto della prospettiva, la dimensione degli oggetti più vicini aumenta mentre quelli più lontani risultano rimpiccioliti. Per creare l’effetto tridimensionale con la tecnica della deformazione, bisogna disegnare la parte frontale più grande e quella più vicino leggermente rimpicciolita. Il termine “deformazione” significa disegnare gli oggetti esagerandone le proporzioni e questa tecnica conferisce un miglior senso dello spazio. Inoltre viene utilizzata questa tecnica anche per questioni di estetica. Gli occhi, ad esempio, vengono disegnati più grandi non solo per farli apparire belli, ma anche perché qualche volta il personaggio sembra più piccolo in base ad un determinato taglio degli occhi oppure ancora per sottolineare il ruolo da protagonista di un personaggio.

La realtà comunque è che non solo il personaggio è importante. Infatti anche lo sfondo contribuisce a sottolineare gli stati d’animo delle varie situazioni in cui un personaggio ci si presenta. Ad esempio per esprimere felicità verranno rappresentate luci, brezza primaverile, petali, luoghi soleggiati. Per esprimere collera invece ci saranno uragani, tempeste, tuoni, fuoco, e così via. Inoltre il modo in cui si scrivono gli effetti sonori (ovvero le onomatopee) contribuisce notevolmente a descrivere o esprimere le varie emozioni.
Ed è così che si crea un fumetto. Ovviamente ognuno ha le sue tecniche o una sua particolare “mano”, per cui ogni fumetto è diverso dall’altro, non solo per via della storia raccontata. Si può notare questo seguendo quella che è la storia del fumetto dalla sua nascita ad oggi. Ogni fumettista realizza la sua opera con un ben preciso scopo, che come si vedrà è a volte dettato dalle situazioni dell’epoca in cui l’autore vive.




Storia del fumetto


Le origini.
Il fumetto come nuovo linguaggio e forma di comunicazione visiva è un tipico prodotto della cultura di massa statunitense: nasce negli Stati Uniti nell’ultimo decennio dell’Ottocento sui supplementi domenicali a colori dei quotidiani, in concomitanza con il grande sviluppo della stampa americana che cercava di catturare lettori con ogni mezzo, e si innesta su una ricca tradizione di giornalismo “disegnato”. Nel 1896 il “New York World” dell’editore Joseph Pulitzer pubblica le prime tavole di Hogan’s Alley di R.F. Outcault, creazione grafica a livello dell’arte dell’affiche di fine secolo: ne è protagonista Yellow Kid, un monello calvo e dalle grandi orecchie a sventola sul cui camicione da notte giallo campeggiano frasi in gergo e che comanda una banda di hooligans nelle strade del Bronx, esprimendosi in uno slang di perfetta controcultura popolare. Nel 1896 il <> dell’editore William Randolph Hearst pubblica Katzenjammer Kids (in Italia noti come Bibì e Bibò) dell’oriundo tedesco Rudolph Dirks; i due fratelli Hans & Fritz, autori di pirotecniche marachelle, si esprimono nel tedesco-americano degli immigrati, memori della loro discendenza dai fondamentali precursori ottocenteschi del fumetto, i monelli Max und Moritz di W. Busch apparsi sul “Munchener Bilderbogen” dal 1865. Nello stesso anno la testata di Hearst pubblica Little Tiger di James Guilford Swinnerton e nel 1899 Happy Hooligan (Fortunello) di Frederick Burr Opper. Fortunello e Bibì e Bibò compaiono in italiano nel 1908 sul “Corriere dei Piccoli”, ma in particolare snaturati dalla sostituzione della nuvoletta con didascalie “pedagogiche” in versi. Il giornalino per ragazzi ospita anche l’ottima grafica Liberty di A. Mussino e quella geometrizzante parafuturista di A. Rubino, mentre dal 1917 al 1955, pubblicherà, con segno anch’esso futuristeggiante, il Signor Bonaventura del poliedrico disegnatore, commediografo e attore S. Tofano, noto con lo pseudonimo di Sto, e dal 1929 il Sor Pampurio di C. Bisi. Negli stessi anni esordisce il fumetto francofono, con Bécassine (1905) di Emile-Joseph Pinchon, e soprattutto con i truffatori e impostori Pieds Nickelés (dal 1908) di Lous Forton, discendenti dal Robert Macabre di H Daumier e protagonisti grotteschi di un’esplicita satira adulta e politica.

Gli anni dieci e venti: il fumetto comico.
Un sostanziale salto di qualità sia dal punto di vista grafico che concettuale caratterizza il fumetto statunitense fra primo e secondo decennio del Novecento. Negli anni 1905-11 Little Nemo in Slumberland di Windsor McRay, la storia di un ragazzino americano che i sogni procurati dalla golosità trasportano ogni notte in un paese fiabesco, evoca un mondo di fantasie freudiane di straordinaria bellezza “art Nouveau”. L.Feininger, che sarà tra i maggiori esponenti del Bauhaus, pubblica dal 1906 sul <> le tavole dei Kin-der-Kids, contraltare di alta qualità grafica dei Katzenjammer. Mutt & Jeff di Harry Conway <> Fisher, che dal 1909 illustra sul “New York American” la vita quotidiana del piccolo borghese, con una grafica espressiva e grottesca che avrà eredi fino all’underground degli anni Sessanta, diventa nel 1911 il primo fumetto pubblicato anche in forma di comics book. Nel 1910 esordiscono con Krazy Kat di G. Herriman un sintetismo grafico d’avanguardia, tale da essere rievocato negli anni Settanta dalla pittura di Ph. Guston, e una poesia surreale di assoluto livello. Nel 1913 Bringing Up Father di G. McManus propone, con una grafica sofisticata già trapassante dall’art nouveau al déco, la vera e propria commedia di costume degli ex proletari arricchiti Jiggs & Maggie (Arcibaldo e Petronilla). L’elevata qualità grafica e poetica fino ad allora raggiunta dal fumetto viene “normalizzata” negli anni Venti dall’avvento dei primi Syndicates, grandi agenzie di distribuzione che acquistano in esclusiva i diritti di un fumetto per poi rifornire decine di testate e di catene giornalistiche. Tale sistema esige da un lato una conformistica adesione all’etica dell’ ”american way of life”, ma dall’altro favorisce i rapporti con l’industria cinematografica dei nascenti cartoni animati. Esemplare di questa standardizzazione è Little Orphan Annie (La piccola orfana Annie) di Harold Gray, apparso nel 1924 sul “New York Daily News”, poi anche sul “Chicago Tribune”, storie “morali” di un’orfanella nella giungla urbana dei “roaring Twenties” (ma pubblicate fino alla morte dell’autore) protetta dal capitalista internazionale Daddy Warbucks, a tal punto permeate dello spirito reazionario dell’America repubblicana e puritana da suscitare negli anni Sessanta la satira erotica e grottesca di Little Annie Fanny (1962) su “PlayBoy” della coppia W. Elder e H.Kurtzman, fondatore quest’ultimo nel 1952 della rivista “Mad”, prototipo della satira “demenziale”. Esemplificativo dei rapporti tra fumetto e cinema d’animazione è Felix the Cat (Mio Mao) di Pat Sullivan, nato nel 1917 come cartone animato e diventato fumetto del 1923. Il processo culmina nella duplice produzione degli studios fondati nel 1923 a Hollywood da W.Disney con il fratello Roy, che producono nel 1928 il primo cartone animato di Mickey Mouse (Topolino) disegnato da Ub Iwerks, passato ai fumetti nel 1930 con lo stesso disegnatore, cui presto subentra Floyd Gottfredson, mentre l’altro personaggio fondamentale, Donald Duck (Paperino), appare nella duplice versione nel 1934 e definitivamente nel 1936 come strip autonoma disegnata da A. Tagliaferro e dal 1943 da C.Barcks in forma di comics book. La doppia versione è caratteristica anche dall’erede delle fantasie surreali della prima grande stagione del fumetto, Poppeye (Braccio di Ferro), l’irrascibile marinaio tutta forza bruta comparso come fumetto nel 1929 nella serie Thimble Theater iniziata dieci anni prima da E.C. Segar e passato nel 1952 ai cartoni animati della Paramount con i fratelli M. e D. Fleischer autori dal 1931 anche di Betty Boop, star satirica ispirata a My West, riproposta poi anch’essa in fumetto. La dimensione mitico-pop del personaggio di Segar, che, sia pur sostenuto da un humor di fondo incarna i valori maschilisti della società americana, in cui la legge morale si identifica con l’ardimento, e comprovata dal fatto che il nome Poppeye già nel 1931 viene assunto come soprannome del Gangster stupratore in Santuario di W. Faulkener e cinquant’anni dopo dal protagonista dell’omonimo film di Altman.

Gli anni trenta: il fumetto d’avventura.
La dimensione mitica è ancora più evidente nel fumetto avventuroso che soppianta il fumetto comico verso la fine degli anni Cinquanta. I suoi eroi sono legati sia alla letteratura “pulp”, compresa la prima produzione di fantascienza, sia all’immaginario cinematografico, di cui assumono in fase più matura anche i ritmi di montaggio e di inquadratura, fino alla grafica di M. Caniff (dal 1947), non a caso ispiratrice negli anni Sessanta della Pop Art di R. Liechtestein, con l’esplicito ingrandimento della tecnica di stampa del “retino”. Questi personaggi sono eroi in pace e in guerra dell’imperialismo americano. Meno caratterizzati in tal senso, almeno esteriormente, e più tradizionalmente nel segno sono Tim Tyler’s Luck (dal 1928), ovvero Cino e Franco, i due intrepidi adolescenti disegnati da Lyman Young, punto di sutura tra fumetto comico e fumetto avventuroso, Tarzan dal 1929 di Arnold R. Foster, proseguito nel 1937 da Burne Hogart e nel 1968 da R. Menning, tutti disegnatori di ottimo livello nell’ambito della tradizione anatomica accademica. Sempre nel filone del fumetto avventuroso gli anni Trenta vedono l’apparizione di Buck Rogers e di P. Nowlan e D.Calkins, il primo eroe di fantascienza di Brick Bradford e di V.W.Ritt e C.Gray, di Mandrake dal 1934 il mago “buono” e di Fantom dal 1936, L’Uomo mascherato assetato di giustizia, capostipite di una banda di personaggi mascherati; questi due ultimi fumetti sono sceneggiati da Lee Falk, uno dei grandi professionisti del tempo, come il già ricordato Foster, dal 1937 anche dell’auto medievale Prince Valiant cavalleresco e didascalico, e soprattutto come Alexander Raymond, che spazia dalla sua fantascienza Decò di Flash Gordon al realismo espressivo e cinematografico dell’agente segreto Xnove dello stesso anno (inizialmente sceneggiato da D. Hammet), fino allo stile noir anni Quaranta dell’investigatore privato Rip Kirby. Questi due characters si riallacciano al filone delle serie con poliziotti e gangsters, rappresentano da due fumetti di qualità assai alta anche se diversi nella deformazione grafica e nel crudo realismo: Dick Tracy e di Chester Gould, l’adamantino poliziotto cui l’autore presta un’imitabile tratto espressionista, trasposto anche in serial cinematografico nel 1937, in telefilm e nel film del 1990 e di V. Beatty, e Red Berry. Sul versante del fumetto ironico, si pone De Spirit di Will Eisner, il detective con la mascherina sugli occhi, disegnato con efficacissimo uso di inquadrature e ombre e luci da film espressionista, mentre l’eredità della satira sociale degli anni Venti e ripresa da L’Il Abner di Alfred Gerald Caplin parodia del folk americano che satireggia l’aspetto contadino e patriarcale della moralità roosveltiana, proponendo un personaggio femminile la cui evoluzione grafica giunge a tempo debito ad alludere a M.Monroe.

Gli anni Quaranta: i “Supereroi”.
Sul finire degli anni Trenta nascono gli album (comics books) con i cosiddetti “supereroi” dotati di poteri eccezionali, proiezione sublimante delle inquietudini e delle nevrosi dell’americano medi fra la grande crisi e la seconda guerra mondiale e risposta d’oltre Atlantico all’aggressivo mito europeo del superomismo: per la National Superman (1939) di J. Siegel e J. Shuster e Batman (1939) di B. Finger e Bob Kane, seguiti da molti altri sceneggiatori e disegnatori; per la Marel Submariner (1939) di B. Everett e Capitan America, dal trasparentissimo titolo, di J.Simon e Jack Kirby; quest’ultimo diventa uno dei principali disegnatori della casa, a fianco del direttore S. Lee, che negli anni Sessanta rilancerà i supereroi aggiornandoli e trasformandoli in personaggi nevrotici, pieni di limiti e di problemi quotidiani (con ottimi riscontri di identificazione nel pubblico giovanile), fra cui spiccano I Fantastici Quattro (Lee e Kirby), eredi di Superman, ma con tavole più “pop”, Spiderman (Uomo Ragno) di Lee e S. Ditko, Daredevil (Lee e G.Colan). Nel secondo dopoguerra, i supereroi di entrambe le case approdano alla televisione e al cinema e si intellettualizzano ulteriormente nei successivi decenni, per esempio nei montaggi d’avanguardia cupamente espressionisti di Frank Miller, che negli anni Ottanta e Novanta crea (Sin City) o ricrea (Batman, Devil, Elektra) eroi inquietanti e conflittuali.

La seconda metà del Novecento: il fumetto “intellettuale” e la diffusione internazionale dei cartoons.
Glia anni Cinquanta e Sessanta segnano negli Stati Uniti, la nascita dei fumetti “underground” sessantotteschi dell’irriverente R. Crumb–Fritz the Cat (1965) ovvero il Pornogatto, e Mr. Natural -, l’affermazione di disegnatori di alta sofisticazione come J. Steranko, H. Chaykin, B.Sienkiewicz e il citato F. Miller, e la comparsa del fumetto intellettuale e sofisticato: annunciato da Pogo (dal 1949) di Walt Kally, il genere è esemplarmente rappresentato dai Peanuts (dal 1950) di Ch.M. Schulz, ricchi di sottigliezze psicologiche, da B.B. (dal 1958) di Jhonny Hart, da The Wizard of Id (Il mago Wiz) di B. Parker e J.Hart, mentre dalla metà degli anni Cinquanta cominciano ad apparire su “Village Voice” le vignette satiriche, psicodrammatiche e politicizzate di J. Feiffer, che toccheranno il culmine al momento dello scandalo Watergate, un tema che, insieme a quello della contestazione studentesca, è al centro anche di Doonesbury (dal 1969) di Garry Trudeau, un fumetto che racconta l’evoluzione di una generazione dalle comuni degli anni Settanta allo yuppismo degli Ottanta alla crisi di mezza età dei Novanta. La fondamentale novità fra gli anni Cinquanta e Sessanta è costituita da un lato dalla forte presa di coscienza della piena autonomia e dignità del fumetto come espressione artistica e dal riconoscimento da parte delle scienze umane del suo valore semiologico, e dall’altra dalla asta diffusione del fumetto in Europa (specialmente in Francia e in Italia, ma anche in Gran Bretagna e Spagna) e in Sud America (non a caso la mostra Fumetto e figurazione narrativa del 1967 al Mus. Des Arts Décoratifs di Parigi passa nel 1970 al Mus. Di San Paolo del Brasile). Se certamente gli Stati Uniti avevano fino ad allora monopolizzato di fatto il settore del fumetto, esportando eroi in tutto il mondo, le sollecitazioni del nuovo linguaggio erano state recepite anche oltre Atlantico. Per citare solo i fumetti più originali e più noti internazionalmente, fin dal 1929 era apparso in Belgio l’originale Tintin di Hergè; negli anni Cinquanta in Gran Bretagna vengono pubblicati il fantascientifico Jeff Hawke (1954) di S. Jordan e W.Patterson, un capolavoro nel suo genere, e gli umoristici Andy Cap (un operaio) di R. Smythe e Bristow (un impiegato) di F. Dickens. Mentre la Francia lancia Asterix (1959) di R.Gonscinny (già autore con Morris del western satirico Lucky Luke del 1946) e Auderzo, in Argentina Quino propone la sua intellettuale Mafalda (1964) inaugurando la scuola argentina del fumetto che annovera, tra gli altri, anche A.Breccia, il surreale Guillermo Mordillo e, negli anni Settanta, gli inquietanti J. Munoz e C. Sampayo, inventori del detective Alack Sinner (1975). Un caso unico e un vertice eccezionale nel panorama del fumetto del secondo Novecento resta l’impegnata graphic novel di A.Spiegelman, Maus, toccante epopea dell’Olocausto, in cui gli ebrei sono rappresentati come topi e i nazisti come gatti. Costituiscono invece un prodotto essenzialmente industriale i manga giapponesi; di livello modesto, salvo qualche eccezione (Akira, 1984, di K. Otomo; Orange road, 1985, di I.Matsumoto), si rivolgono a un pubblico giovanile abituato alla semplificazione grafica dei cartoni animati televisivi.

Il fumetto in Italia.
Il fumetto italiano, dopo i decenni eroici del “Corriere dei Piccoli”, aveva visto negli anni Trenta la nascita di settimanali per ragazzi con materiale americano della casa Nerbini, come “Topolino” (1932), passato nel 1935 a Mondadori, “L’avventuroso”, “Il vittorioso”, “L’audace” e la comparsa dei primi alidi disegnatori: Rino Albertarelli, creatore di Kit Carson, il capostipite del fumetto western (i cui eroi vanno da Tex Willer a Pecos Bill, a Sargent Kirk, a Cisco Kid a Randall), Federico Pedrocchi, Walter Molino, Giovanni Scolari, K.Caesar, F.Caprioli, Benito Jacovitti, il cui surreale Cocco Bill inaugura la parodia del genere. Nel dopoguerra, spicca il gruppo veneziano dell’”Asso di Picche”, con D.Battaglia e H.Pratt. Dopo l’iniziale comune ripresa del modello di M.Caniff, il primo è divenuto un raffinato rilettore di testi letterari, tra fumetto e illustrazione, il secondo si è imposto come l’autore di maggior livello, per qualità del soggetto e del disegno, della seconda metà del Novecento: con la saga di Corto Maltese (dal 1967 sulla rivista “Sgt Kirk”) Pratt rivaluta il fumetto d’avventura instillandovi però inediti umori ironici. Altra figura chiave è quella di Gian Luigi Monelli, creatore dal 1948, con Aurelio Galleppini, del personaggio western “revisionista” Tex Willer, affidato a ari disegnatori, di grande fortuna popolare e intergenerazionale, la cui impostazione è stata ripresa, con più alta qualificazione grafica, da Ken Parker (1977) di G. Berardi e I.Milazzo. Battaglia e Pratt sono presenti sulle pagine di “Linus”, la rivista fondata nel 1965 da G. Gandini con la collaborazione di E.ittorini, U.Eco e O.del Buono. Fucina del fumetto italiano di alta raffinatezza intellettuale con la sua filiazione di “Alter Alter”, ospita sul versante narrativo di avventura e di costume G.Crepax, interprete del “radical-chic” milanese con la sofisticata Valentina (1965: da segnalare la particolare attenzione ai titoli sui dorsi dei libri nelle biblioteche dei protagonisti), Milo Manara con il suo erotismo ammiccante e il fumettista-illustratore S.Toppi, sulla linea di Battaglia, mentre sul versante satirico spiccano le figure di Daniele Panebarco e F.T.Altan. Negli anni Sessanta nascono anche i noirs italiani Diabolik (1962) delle sorelle A. e L. Giussani e Satanik di L. Secchi e R.Raviola (in arte Magnus,), che aprono la via al fumetto sadico e pornografico; nel 1969 esordisce Alan Ford dello stesso Magnus, che alla fine degli anni Settanta approderà al fantastico.horror e alle rivisitazioni della favolistica orientale; in questo filone del fumetto di consumo rientrano anche l’archeologo Martin Mystère (1982) di A.Castelli e G.Alessandrini e soprattutto Dylan Dog (1986) scritto da T.Sclavi e illustrato da vari disegnatori. Su “Linus” esordisce anche la giovane guardia sessantottesca di due gruppi legati a Bologna e al DAMS, a ulteriore riprova dell’intellettualizzazione del fumetto: al primo gruppo, che dà vita nel 1980 al provocatorio e feroce “Frigidaire” appartengono S. Tamburini e G.Liberatore (inventori del violento e amorale cyborg Ranxerox), M. Mattioli ( con il fumetto splatter Squeak the mouse), F.Scòzzari (con Suor Dentona), e A.Pazienza, inventore di personaggi estremi come Pentotal e Zanardi espressione della controcultura postsessantottesca; l’altro gruppo, quello di “Valvoline”, nasce nel 1983, formato da D.Brolli, G.Carpinteri, Igort (I.Tuberi), M.Jori, L.Mattotti, e viene consacrato da R.Barilli nella mostra Anniottanta per la sua grafica d’avanguardia. Il corrispettivo francese di queste innovative esperienze è costituito dalle riviste “Pilote” e “Metal Hurlant” (1974), con le figure fondamentali di J.Giraud (noto con gli pseudonimi “Gir” e soprattutto “Moebius”) e di E.Bilal e dalle satiriche “Harakiri” ed “Echo des Savanes”, con C.Brétecher e G.Wolinski, maestri di umorismo grottesco.





Cronistoria illustrata
(nell'originale ci sono delle immagini, che non mi è riuscito di caricare per la pesantezza..mi scuso con voi, per chi volesse una copia dell'originale me la può richiedere per e-mail, e vi posso mandare il file formato word.)


1895
- Fa la sua comparsa in un giornale americano Yellow Kid, considerato il capostipite degli eroi dei fumetti, e creato da Outcault.




1905
-Appare per la prima volta sul supplemento domenicale del New York Herald un bambino che ogni notte viene trasportato in sogno nell’immaginario Slumberland, dove vive magiche avventure. Il suo nome è Little Nemo.






1917
-Creato dalla mente di Sergio Tofano e pubblicato per oltre cinquant’anni sul Corriere dei piccoli, il Signor Bonaventura è un personaggio buono con gli altri, ma allo stesso tempo fortunato, in quanto alla fine di ogni episodio riceve come ricompensa per le sue buone azioni un milione (che nel dopoguerra equivaleva ad un miliardo).







1923
-Nasce Felix, tipico esempio di gatto domestico americano, molto amato sia dai più piccoli che dai meno piccoli.



1925
-In una tarda serata il ricchissimo Thomas Wayne con sua moglie e il figlio dodicenne stava tornando a casa, quando un brutto tipo armato di pistola uccise lui e la moglie per rapinarli. Bruce, il figlio, decide di vendicare la morte dei genitori, spendendo il resto della sua vita per combattere i criminali e rendere il suo corpo capace di incredibili imprese atletiche: adotta il nome Barman e il costume da pipistrello.








1928
-E’ l’anno in cui il mitico Walt Disney crea il personaggio di Michey Mouse, che verrà italianizzato in Topolino, e che avrà un successo mondiale incredibilmente vasto.





1929
-Fa capolino nella storia mondiale del fumetto un marinaio rissoso, ma dal cuore tenero di nome Braccio di Ferro, che tenterà di conquistare il cuore della brutta, ma dolce Olivia.




1930
-In america si diffonde la mitica Blondie e le sue disastrose avventure familiari. Il marito è figlio di un ricco americano, ma viene diseredato perché ha sposato una “umile sartina”. La serie è durata fino agli anni ’70 ed è stata lo specchio della società americana del periodo.






1931
-Siamo negli USA, nel periodo della recessione, quando i banditi spadroneggiavano nelle grandi città dediti al lucroso commercio dell’alcool ed altre attività illegali. Spesso i polizia era complice dei gangster; ecco perché nel cinema, nella letteratura e nel fumetto si diffuse la moda di raccontare le avventure dei poliziotti onesti. Tra questi il migliore è proprio Dick Tracy.



1931
-Creata dalla mano di Fleischer, Betty Boop, oltre ad essere diventata un’icona, rappresenta la caricatura della classica diva americana.




1934
-Come un vero gentleman fa ingresso del mondo dei fumetti Mandrake, un uomo che lotta per il trionfo del bene.




1934
-Fa il suo ingresso nella grande famiglia Disneyana il simpatico e buffo Donald Duck, chiamato in Italia Paperino.



1938
-Prende vita dalla penna di Jerry Siegel e dalla matita di Joe Schuster un personaggio che avrà un rilievo importante in molte parti del mondo. Il suo nome è SuperMan.
Pubblicato in Italia per la prima volta da Mondatori prese il nome di Nembo Kid, poi successivamente riprese il titolo originario.








Anni ’30
-Spopola prima in America e poi in Italia la storia di Cino e Franco, due ragazzi che vivono numerose avventure in Africa. Fu utilizzato nella seconda guerra mondiale come strumento di propaganda: i due eroi tornarono infatti in USA per arruolarsi. Il fascismo del periodo autarchico ne elaborò una versione nostrana con Gino e Gianni, brutte copie dei due giovani, intrisi di virtù fasciste.





1948
-Per le storie di Gian Luigi Bonelli il fumettista Aurelio Galoppini crea il personaggio di Tex Willer, un ranger texano che lotta contro i cattivi e protegge i buoni, compresi gli indiani più tranquilli.

1950
-Shultz dà vita in quest’anno al fantastico mondo dei Peanuts, capitanati dal buffo e sfortunato Charlie Brown. Il racconto è uno specchio dei giovani adolescenti del periodo, che caratterizza drammi e ambizioni dei piccoli personaggi.





Un rilievo importante lo assume il bracchetto Snoopy, che guadagna delle strisce tutte sue, accompagnato da un simpatico uccellino giallo. Sogna di essere un grande eroe dell’aviazione della prima guerra mondiale.






1957
-Sul Daily Mirror vengono pubblicate le storie dello sfaticato e nullafacente Andy Capp, che cerca di guadagnare soldi senza lavorare.







1959
-Nasce in Francia Asterix, un piccolo guerriero Gallo che guida il suo popolo contro il popolo romano guidato da Giulio Cesare, che stà tentando di conquistare la Gallia (ovvero l’attuale Francia).







1959
-Nasce la famiglia Flintstones che pur essendo ambientata nel paleolitico, vive storie e situazioni della società industrializzata degli anni Sessanta.




1962
-Nasce dalla fantasia di due sorelle, Angela e Giuliana Giussani, la mitica immagine di Diabolik, il ladro gentiluomo, ma allo stesso tempo cinico e spietato, e accompagnato dalla bionda e affascinante Eva Kant.






1962
-Contemporaneamente si diffonde la mania di Spiderman, ovvero l’Uomo Ragno, un ragazzo che in seguito ad un morso di ragno radioattivo, si ritrova a possedere delle capacità dell’animale, come l’arrampicarsi sui muri, e si mette a servizio della società.




1963
-Nasce dalla penna di Quino la piccola e ingenua Mafalda, che guarda il mondo con i suoi occhi di bambina, non riuscendo a capire il perché delle ingiustizie sociali che vede intorno a sé, le denuncia come solo una bambina innocente può fare.



1964
-Su storie di Max Bunker, disegnata da Magnus, fa il suo ingrasso nel campo del fumetto la perfida Satanik, una donna dotata di poteri magici che seduce e uccide gli uomini per il semplice gusto di vederli soffrire.



1967
-Nasce dalla penna di Hugo Pratt il marinaio Corto Maltese, che rappresenta una svolta nel mondo del mondo del fumetto che non si rivolge più solo ai bambini ma che, col disegno raffinato e con problematiche esistenziali che vanno oltre la pura avventura, cattura anche il pubblico adulto.



1969
-Nasce come presa in giro dei film diffusi in quel periodo del leggendario James Bond, il personaggio di Alan Ford, uno sgangherato agente segreto, inviato in missioni improbabili da un’agenzia segreta guidata da un vecchio sdentanto in carrozzella.




Anni ’70
-Fanno il loro ingresso in Italia i Manga, tipici fumetti giapponesi. I più famosi, indirizzati ad un pubblico di bambini, sono Sanpei e Candy Candy.



1973
-E’ l’anno in cui Silver crea Lupo Alberto, un simpatico lupacchiotto innamorato di una gallina e ostacolato da un grosso cane a guardia della fattoria dove vivono.


Anni ’80
-Continua la diffusione del manga giapponese, e si impone per la sua crudeltà e schiettezza. Uno dei più famosi del periodo è Akira, che si ritrova a vivere nel periodo postnucleare in una situazione di anarchia assoluta, dove vige la legge del più forte.

1986
-Tiziano Sclavi dà vita a Dylan Dog, un giovane che indaga sui misteri del mondo paranormale.

Anni ’90
-Si diffonde tra le ragazzine la mania di Sailor Moon, fumetto come tanti tra i giapponesi basato su misteriose metamorfosi dei personaggi in eroi imbattibili.


Tra letteratura, arte e fumetto.

“La pittura per me non è un hobby, ma il mestiere; hobby per me è scrivere. Ma dipingere e scrivere per me sono infondo la stessa cosa. Che dipinga o che scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie.”

E’ così che Dino Buzzati chiarisce quello che per i critici è sempre stato un dubbio, ovvero è lo scrittore ad aver come hobby la pittura, o è il pittore ad avere come hobby lo scrivere? Personalmente Buzzati affermava la seconda opzione, anche se molti hanno apertamente affermato di considerarlo più uno scrittore, in quanto le sue opere figurative siano forse prive dei requisiti giusti per essere definiti “arte”. Ma ci sono pareri contrari: molti infatti valorizzano le sue opere pittoriche, dedicandogli addirittura delle mostre. Ma perché limitare il campo di un’artista? Infondo la pittura e la letteratura sono entrambe due arti e oltre a poterle praticare entrambe singolarmente e al meglio, è possibile fonderle per creare qualcosa di unico, come lo stesso Buzzati in chiave molto personale ha fatto, ovvero un fumetto. Ed è proprio nel suo “Poema a fumetti” che Buzzati esprime sia la sua arte figurativa che letteraria, rivisitando in chiave moderna il mito di Orfeo ed Euridice. La perfetta coesistenza in pagina di segno e disegno, parola e immagine, scrittura e colore coinvolge il fumetto buzzatiano in un contenuto che si direbbe superiore alle forze formali della vignetta, del bozzetto, dell’illustrazione. Il racconto è serio e il mezzo si nobilita. Poema a fumetti non è storiella salace o piccolo cartoon erotico. In esso, è pur ero, che si scaricano ansie psicologiche dell’autore, che convergono alla grafica “colorata”, al “polittico” narrativo in forma di pellicola disegnata, come al mezzo più semplice per raggiungere il loro fine. E il loro fine è quello di rimediare a decenni di inibizioni affettive, di conflitti emotivi in larghissima parte provenienti da materiale erotico inespresso, rappreso, trattenuto: tutto un mondo sotterraneo, istintuale, ossessivo. Dunque il fumetto si presenta come un rapido inventario di “bassezze” e di “nobiltà”, quelle che albergano nel cuore di tutti, dal fantastico al reale al triviale; e, per contro, dall’erotico e dal sadico, all’etico. Riproponendo quindi, con i giusti aggiornamenti del caso, l’antico mito di Orfeo ed Euridice, Buzzati evoca un immaginoso inferno contemporaneo. Orfeo, si sa, mitico cantore della Tracia, ottenne dagli dei inferi di ricondurre sulla terra la sposa morta Euridice, a patto di non voltarsi mai a guardarla durante il tempo del ritorno al mondo dei vivi. Sceso nel regno dei morti e placati col suo canto i guardiani dell’Ade, Cerbero e Caronte, Orfeo stava per realizzare il suo sogno ma, infrangendo il divieto, perse per sempre la sua Euridice.
In “Poema a fumetti”, Orfi è un moderno cantautore ed Eura la sua innamorata, una ragazza che la morte si porta via nel fiore degli anni. Orfi la vede scomparire nella sera nella porticina di una villa misteriosa che sorge proprio difronte a casa sua. Sembra un’ombra, non una giovane teenager e, infatti, non è lei viva, ma la sua…anima. E la porticina è lo sbocco in superficie dell’inferno, un moderno Ade che ha il suo terminale terrestre in via Saterna, la ia di Orfi, una immaginaria via del centro di una per altro realissima Milano. Così il ragazzo entra. Interminabili scalini, vertiginose visioni, strane finestre interrate che danno sulla Milano vera e viva, su una sterminata Giosafat di morituri. Caronte è un diavolo custode, una giacca vuota che parla e intrattiene Orfi sulla condizione di morte in questo inferno, non poi così plumbeo, non poi così insopportabile. Un aldilà triste, ma ordinato; irredimibile, certo, ma non disperato. Allora Orfi comincia a cantare le cose che i morti non hanno più le foglie sparse, i treni, le antiche stanze, i giardini; i soldati e la gloria, i sogni, i peccati, gli amori e le delusioni; il silenzio della montagna, le guerre e le vittorie. E ancora: le luci della città nevrotica, i piaceri, i misteri, la musica; i riti e i ritmi, le storie favolose; il paradiso della carne, le paure, Dio: Dio della vita, della disperazione, delle cattedrali e della morte. Orfi è lasciato passare nell’inferno vero e proprio in virtù del suo canto meraviglioso e struggente. Ed Eura è là, fra i tanti, consapevole che non può tornare in vita, per tutto l’amore di Orfi e del mondo. Ma Orfi spera, incalza, la strappa via. E il tempo stà per scadere. Nessun patto, nessuna condizione, nessun divieto specifico: la morte è morte e non si vince. L’inferno moderno non ha risvolti mitologici, romantici. Sulla strada deserta, davanti alla porta di quest’Ade metropolitano, nell’immaginaria via Saterna di una verissima Milano, il sogno si è compiuto. Il mondo dei vivi procede inconsciamente verso la vita di tutti i giorni. Non prevede favole, anzi, ne decreta la fine: “Gli ultimi re delle favole si incamminavano all’esilio. E sul deserto di Kalahari le turrite nubi dell’eternità passavano lentamente.”. Quando la vita è stanca e la morte medesima un sasso dell’eterna fissità; quando la terra si affloscia sulle ginocchia di Dio e le speranze non hanno più l’invidiabile dolore dell’attesa, controprova dell’esserci, tutto è consumato: spazio e tempo, verità e mistero, sogno e bisogno, libertà e destino. Il binomio antico, anzi eterno, delle leggende e delle storie umane vale a dire “amore e morte”, è qui proposto da Buzzati in una sorprendente e rinnovata simbologia: a parte il mezzo formale (vale a dire il “fumetto d’autore”), la noità sta nel finale: Eura non torna nel mondo dei vivi non perché Orfi la perde voltandosi a guardarla, ma perché è lei stessa ad opporgli una legge invalicabile, che nessun canto smuove e nessun incanto commuove. Eura è morta perché è sorda alla favola, al mito, alla poesia. Il quesito “eternità nuova o eternità di luce?”, che si legge a un certo punto di Poema a fumetti, non ci prepara a straordinari aut aut circa la comprensibilità o meno di quanto accade nella dimensione infera, né significa che l’autore voglia spiegarci se è questo un inferno di castighi cristiani e di pene comminate a peccatori. Tutto rientra piuttosto in una questione di linguaggio, nell’abituale e ferreo gioco buzzatiano dell’istanza contraddetta, o della negazione interrogante. Buzzati può circumnavigare l’universo, ma resta inchiodato ai suoi perché, senza fare quel passo avanti o indietro che ce lo paleserebbe definitivamente. E, quanto a pensiero religioso, continueremo a pensarlo mistico o demistificatore, credente o incredulo, fedele o indifferente. Buzzati riassume in duecento tavole circa tutto il suo mondo poetico, fiabesco, simbolico con la pregnante immediatezza di chi giunge, non senza lavoro, ma abbastanza agevolmente, a vestire la sua idea con una struttura espressiva inedita e accattivante. Potrebbe sembrare eccessiva la sua franchezza linguistica, la fisica istintività e l’evidenza anatomica dei suoi personaggi, ma in realtà, quella decina di nudi, per altro stilizzati, non incriminano certamente Buzzati di impudiche esplicitezze o di volgari lusinghe. Una volta imboccata la formalità espressiva del fumetto, del libro-film (con cadenze relative che ricordano, stilisticamente parlando, qualcosa tra Munch e Rauschenberg, tra Man Ray e Manritte e Delvaux, tra De Chirico e Lichtenstein; in parole povere, tra espressionismo, surrealismo e pop-art), la bipolare necessità di figura-scritta non lascia campo a critiche: l’operazione buzzatiana resta legittima e la sua esperienza sufficiente a porsi come una delle tante formalità alternative alla scrittura tradizionale. Infatti la sua opera non è per nulla tradizionale, sia quando si tratta di semplice letteratura, sia che si tratti di opere pittoriche, o che entrambe si mischino insieme. Basti pensare comunque che la natura figurativa di Buzzati e quella narrativa non possono far a meno di unirsi, sempre, anche se in maniera palese. Bisogna tener presente l’importanza che hanno nei suoi quadri le didascalie, e il fatto che gli stessi temi circolano continuamente tra quadri e racconti, fino alla sintesi del “Poema a fumetti”, ma anche dei “Miracoli di Val Morel”. Ovviamente l’opera di Buzzati non può essere considerata un fumetto normale: la tavole che lo compongono sono trattate più come opere a sé stanti, tant’è vero che alcune sono state riprese per creare dei veri e propri quadri. Ciò dipende dal fatto che l’influenza dei movimenti di quel periodo fù forte nell’animo di Buzzati, così pessimista nei confronti della vita, e talmente affascinato dalla morte da raccontare tutte le sue paure nelle sue opere. Ed è attraverso esse che lui crea un mix di quelle che furono le teorie novecentesche, per andare a creare un’opera sublime, ma di facile comprensione grazie al mezzo utilizzato, come Poema a fumetti. Come già elencato sopra, le influenze per Buzzati furono diverse, ed ognuna aveva delle sue teorie. E per comprendere meglio la sua opera bisogna innanzitutto conoscere queste teorie.

Per comprendere meglio:

-Espressionismo: Il termine espressionismo indica, in senso molto generale, un’arte dove prevale la deformazione di alcuni aspetti della realtà, così da accentuarne i valori emozionali ed espressivi. In tal senso, il termine espressionismo prende una valenza molto universale. Al pari del termine «classico», che esprime sempre il concetto di misura ed armonia, o di «barocco», che caratterizza ogni manifestazione legata al fantasioso o all’irregolare, il termine «espressionismo» è sinonimo di deformazione.
Nell’ambito delle avanguardie storiche con il termine espressionismo indichiamo una serie di esperienze sorte soprattutto in Germania, che divenne la nazione che più si identificò, in senso non solo artistico, con questo fenomeno culturale.
Alla nascita dell’espressionismo contribuirono diversi artisti operanti negli ultimi decenni dell’Ottocento. In particolare possono essere considerati dei pre-espressionisti Van Gogh, Gauguin, Munch ed Ensor. In questi pittori sono già presenti molti degli elementi che costituiscono le caratteristiche più tipiche dell’espressionismo: l’accentuazione cromatica, il tratto forte ed inciso, la drammaticità dei contenuti.
Il primo movimento che può essere considerato espressionistico nacque in Francia nel 1905: i Fauves. Con questo termine vennero dispregiativamente indicati alcuni pittori che esposero presso il Salon d’Automne quadri dall’impatto cromatico molto violento. Fauves, in francese, significa «belve». Di questo gruppo facevano parte Matisse, Vlaminck, Derain, Marquet ed altri. La loro caratteristica era il colore steso in tonalità pure. Le immagini che loro ottenevano erano sempre autonome rispetto alla realtà. Il dato visibile veniva reinterpretato con molta libertà, traducendo il tutto in segni colorati che creavano una pittura molto decorativa. Alla definizione dello stile concorsero soprattutto la conoscenza della pittura di Van Gogh e Gauguin. Da questi due pittori i fauves presero la sensibilità per il colore acceso e la risoluzione dell’immagine solo sul piano bidimensionale.
Nello stesso 1905 che comparvero i Fauves si costituì a Dresda, in Germania, un gruppo di artisti che si diede il nome «Die Brücke» (il Ponte). I principali protagonisti di questo gruppo furono Ernest Ludwig Kirchner e Emil Nolde. In essi sono presenti i tratti tipici dell’espressionismo: la violenza cromatica e la deformazione caricaturale, ma in più vi è una forte carica di drammaticità che, ad esempio, nei Fauves non era presente. Nell’espressionismo nordico, infatti, prevalgono sempre temi quali il disagio esistenziale, l’angoscia psicologica, la critica ad una società borghese ipocrita e ad uno stato militarista e violento.
Alla definizione dell’espressionismo nordico fu determinante il contributo di pittori quali Munch ed Ensor. E, proprio da Munch, i pittori espressionisti presero la suggestione del fare pittura come esplosione di un grido interiore. Un grido che portasse in superficie tutti i dolori e le sofferenze umane ed intellettuali degli artisti del tempo.
Un secondo gruppo espressionistico si costituì a Monaco nel 1911: «Der Blaue Reiter» (Il Cavaliere Azzurro). Principali ispiratori del movimento furono Wassilj Kandinskij e Franz Marc. Con questo movimento l’espressionismo prese una svolta decisiva. Nella pittura fauvista, o dei pittori del gruppo Die Brücke, la tecnica era di rendere «espressiva» la realtà esterna così da farla coincidere con le risonanze interiori dell’artista. Der Blaue Reiter propose invece un’arte dove la componente principale era l’espressione interiore dell’artista che, al limite, poteva anche ignorare totalmente la realtà esterna a se stesso. Da qui, ad una pittura totalmente astratta, il passo era breve. Ed infatti fu proprio Wassilj Kandiskij il primo pittore a scegliere la strada dell’astrattismo totale.
Il gruppo Der Blaue Reiter si disciolse in breve tempo. La loro ultima mostra avvenne nel 1914. In quell’anno scoppiò la guerra e Franz Marc, partito per il fronte, morì nel 1916. Alle attività del gruppo partecipò anche il pittore svizzero Paul Klee, che si sarebbe reincontrato con Wassilj Kandiskij nell’ambito della Bauhaus, la scuola d’arte applicata fondata nel 1919 dall’architetto Walter Gropius. All’interno di questa scuola, l’attività didattica di Kandiskij e Klee contribuì in maniera determinante a fondare i principi di una estetica moderna, trasformando l’espressionismo e l’astrattismo da un movimento di intonazione lirica ad un metodo di progettazione razionale di una nuova sensibilità estetica.

-Metafisica: La Metafisica è l’altro grande contributo all’arte europea che provenne dall’Italia, nel periodo delle avanguardie storiche. Per la sua palese figuratività, esente da qualsiasi innovazione del linguaggio pittorico, la Metafisica è da alcuni esclusa dal contesto vero e proprio delle avanguardie. Essa, tuttavia, fornì importanti elementi per la nascita di quella che viene considerata l’ultima tra le avanguardie: il Surrealismo.
Protagonista ed inventore di questo stile fu Giorgio De Chirico. Iniziò a fare pittura metafisica già nel 1909, anno di nascita del futurismo. Ma rispetto a quest’ultimo movimento, la metafisica si colloca decisamente agli antipodi. Nel futurismo è tutto dinamismo e velocità; nella metafisica predomina la stasi più immobile. Non solo non c’è la velocità, ma tutto sembra congelarsi in un istante senza tempo, dove le cose e gli spazi si pietrificano per sempre. Il futurismo vuol rendere l’arte un grido alto e possente; nella metafisica predomina invece la dimensione del silenzio più assoluto. Il futurismo vuole totalmente rinnovare il linguaggio pittorico; la metafisica si affida invece agli strumenti più tradizionali della pittura: soprattutto la prospettiva.
Si potrebbe pensare che la metafisica sia alla fine solo un movimento di retroguardia fermo a posizioni accademiche. Ed invece riesce a trasmettere messaggi totalmente nuovi, la cui carica di suggestione è immediata ed evidente. Le atmosfere magiche ed enigmatiche dei quadri di De Chirico colpiscono proprio per l’apparente semplicità di ciò che mostrano. Ed invece le sue immagini mostrano una realtà che solo apparentemente assomiglia a quella che noi conosciamo dalla nostra esperienza. Uno sguardo più attento ci mostra che la luce è irreale e colora gli oggetti e il cielo di tinte innaturali. La prospettiva, che sembrava costruire uno spazio geometricamente plausibile, è invece quasi sempre volutamente deformata, così che lo spazio acquista un aspetto inedito. Le scene urbane, che sono protagoniste indiscusse di questi quadri, hanno un aspetto dilatato e vuoto. In esse predomina l’assenza di vita e il silenzio più assoluto. Le rappresentazioni di De Chirico superano la realtà, andando in qualche modo «oltre». Ci mostrano una nuova dimensione del reale. Da ciò il termine «metafisica» usata per definirla. Le immagini di De Chirico sono il contesto ultimo a cui può pervenire la realtà creata dal nostro vivere.
La Metafisica, come movimento dichiarato, sorse solo nel 1917, a Ferrara, dall’incontro tra De Chirico e Carlo Carrà. Quest’ultimo proveniva dalle file del futurismo, ma se ne era progressivamente distaccato. L’incontro con De Chirico lo convinse al recupero della figura e all’esplorazione di quel mondo arcaico e fisso che caratterizza la pittura metafisica di De Chirico. Alla metafisica si convertì anche Giorgio Morandi, che nella purezza e severità delle immagini metafische trovò la sua cifra stilistica più personale. Alla metafisica aderirono, seppure a tratti, altri pittori italiani, tra cui Alberto Savinio, fratello di De Chirico, Filippo De Pisis, Mario Sironi e Felice Casorati.
Nel 1921 il gruppo della Metafisica era già sciolto, dato che la maggior parte dei suoi protagonisti si erano aggregati intorno alla corrente di Valori Plastici. Ma la pittura metafisica di fatto non scomparve, restando una cifra di fondo, molto riconoscibile, di Giorgio De Chirico e di molti degli artisti che avevano condiviso la sua esperienza.

-Surrealismo: La nascita della psicologia moderna, grazie a Freud, ha fornito molte suggestioni alla produzione artistica della prima metà del Novecento. Soprattutto nei paesi dell’Europa centro settentrionale, le correnti pre-espressionistiche e espressionistiche hanno ampiamente utilizzato il concetto di inconscio per far emergere alcune delle caratteristiche più profonde dell’animo umano, di solito mascherate dall’ipocrisia della società borghese del tempo.
Sempre da Freud, i pittori, che dettero vita al Surrealismo, presero un altro elemento che diede loro la possibilità di scandagliare e far emergere l’inconscio: il sogno.
Il sogno è quella produzione psichica che ha luogo durante il sonno ed è caratterizzata da immagini, percezioni, emozioni che si svolgono in maniera irreale o illogica. O, per meglio dire, possono essere svincolate dalla normale catena logica degli eventi reali, mostrando situazioni che, in genere, nella realtà sono impossibili a verificarsi. Il primo studio sistematico sull’argomento risale al 1900, quando Freud pubblicò : «L’interpretazione dei sogni». Secondo lo studioso il sogno è la «via regia verso la scoperta dell’inconscio». Nel sonno, infatti, viene meno il controllo della coscienza sui pensieri dell’uomo e può quindi liberamente emergere il suo inconscio, travestendosi in immagini di tipo simbolico. La funzione interpretativa è necessaria per capire il messaggio che proviene dall’inconscio, in termini di desideri, pulsioni o malesseri e disagi.
Il sogno propone soprattutto immagini: si svolge, quindi, secondo un linguaggio analogico. Di qui, spesso, la sua difficoltà ad essere tradotto in parole, ossia in un linguaggio logico. La produzione figurativa può, dunque, risultare più immediata per la rappresentazione diretta ed immediata del sogno. E da qui, nacque la teoria del Surrealismo.
Il Surrealismo, come movimento artistico, nacque nel 1924. Alla sua nascita contribuirono in maniera determinante sia il Dadaismo sia la pittura Metafisica.
Teorico del gruppo fu soprattutto lo scrittore André Breton. Fu egli, nel 1924, a redigere il Manifesto del Surrealismo. Egli mosse da Freud, per chiedersi come mai sul sogno, che rappresenta molta dell’attività di pensiero dell’uomo, visto che trascorriamo buona parte della nostra vita a dormire, ci si sia interessati così poco. Secondo Breton, bisogna cercare il modo di giungere ad una realtà superiore (appunto una surrealtà), in cui conciliare i due momenti fondamentali del pensiero umano: quello della veglia e quello del sogno.
Il Surrealismo è dunque il processo mediante il quale si giunge a questa surrealtà. Sempre Breton così definisce il Surrealismo:
«Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale».
L’automatismo psichico significa quindi liberare la mente dai freni inibitori, razionali, morali, eccetera, così che il pensiero è libero di vagare secondo libere associazioni di immagini e di idee. In tal modo si riesce a portare in superficie quell’inconscio che altrimenti appare solo nel sogno.
Al Surrealismo aderirono diversi pittori europei, tra i quali Max Ernst, Juan Mirò, René Magritte e Salvador Dalì. Non vi aderì Giorgio De Chirico, che pure aveva fornito con la sua pittura metafisica un contributo determinante alla nascita del movimento, mentre vi aderì, seppure con una certa originalità, il fratello Andrea, più noto con lo pseudonimo di Alberto Savinio.
Il surrealismo è un movimento che pratica un’arte figurativa e non astratta. La sua figurazione non è ovviamente naturalistica, anche se ha con il naturalismo un dialogo serrato. E ciò per l’ovvio motivo che vuol trasfigurare la realtà, ma non negarla.
L’approccio al surrealismo è stato diverso da artista ad artista, per le ovvie ragioni delle diversità personali di chi lo ha interpretato. Ma, in sostanza, possiamo suddividere la tecnica surrealista in due grosse categorie: quella degli accostamenti inconsuenti e quella delle deformazioni irreali.
Gli accostamenti inconsueti sono stati spiegati da Max Ernst, pittore e scultore surrealista. Egli, partendo da una frase del poeta Comte de Lautréamont: «bello come l’incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio», spiegava che tale bellezza proveniva dall’«accoppiamento di due realtà in apparenza inconciliabili su un piano che in apparenza non è conveniente per esse».
In sostanza, procedendo per libera associazione di idee, si uniscono cose e spazi tra loro apparentemente estranei per ricavarne una sensazione inedita. La bellezza surrealista nasce, allora, dal trovare due oggetti reali, veri, esistenti (l’ombrello e la macchina da cucire), che non hanno nulla in comune, assieme in un luogo ugualmente estraneo ad entrambi. Tale situazione genera una inattesa visione che sorprende per la sua assurdità e perché contraddice le nostre certezze.
Le deformazioni irreali riguardano invece la categoria della metamorfosi. Le deformazioni espressionistiche nascevano dal procedimento della caricatura, ed erano tese alla accentuazione dei caratteri e delle sensazioni psicologiche. La metamorfosi è invece la trasformazione di un oggetto in un altro, come, ad esempio, delle donne che si trasformano in alberi (Delvaux) o delle foglie che hanno forma di uccelli (Magritte).
Entrambi questi procedimenti hanno un unico fine: lo spostamento del senso. Ossia la trasformazione delle immagini, che abitualmente siamo abituati a vedere in base al senso comune, in immagini che ci trasmettono l’idea di un diverso ordine della realtà.

-Pop Art: L’informale ha sicuramente ben rappresentato un certo clima culturale esistenzialistico tipico degli anni Cinquanta. La sua carica pessimistica di fondo fu tuttavia compresa solo da una ristretta cultura d’élite. E ben presto ha mostrato la sua inattualità nei confronti di una società in rapida trasformazione, che si caratterizzava sempre più come società di massa dominata dai tratti positivi ed ottimistici del consumismo.
Ed è proprio dall’incontro tra arte e cultura dei mass-media che nacque la pop art. La sua nascita avviene negli Stati Uniti intorno alla metà degli anni ’50 con le prime ricerche di Robert Raushenberg e Jasper Johns. Ma la sua esplosione avviene soprattutto nel decennio degli anni ’60, conoscendo una prima diffusione e consacrazione con la Biennale di Venezia del 1964.
I maggiori rappresentanti di questa tendenza sono tutti artisti americani: Andy Warhol, Claes Oldenburg, Tom Wesselmann, James Rosenquist, Roy Lichtenstein ed altri. Ed in ciò si definisce anche una componente fondamentale di questo stile: essa appare decisamente il frutto della società e della cultura americana. Cultura largamente dominata dall’immagine, ma immagine che proveniva dal cinema, dalla televisione, dalla pubblicità, dai rotocalchi, dal paesaggio urbano largamente dominato dai grandi cartelloni pubblicitari.
La pop art ricicla tutto ciò in una pittura che rifà in maniera fredda ed impersonale le immagini proposte dai mass-media. Si va dalle bandiere americane di Jasper Johns alle bottiglie di Coca Cola di Warhol, dai fumetti di Lichtenstein alle locandine cinematografiche di Rosenquist.
La pop art documenta quindi in maniera precisa la cultura popolare americana (da qui quindi il suo nome, dove pop sta per diminutivo di popolare), trasformando in icone le immagini più note o simboliche tra quelle proposte dai mass-media. L’apparente indifferenza per le qualità formali dei soggetti proposti, così come il procedimento di pescare tra oggetti che apparivano triviali e non estetici, ha indotto molti critici a considerare la pop art come una specie di nuovo dadaismo. Se ciò può apparire in parte plausibile, diverso è il fine a cui giunge la pop art. In essa infatti è assente qualsiasi intento dissacratorio, ironico o di denuncia.
Il più grosso pregio della pop art rimane invece quello di documentare, senza paura di sporcarsi le mani con la cultura popolare, i cambiamenti di valori indotti nella società dal consumismo. Quei cambiamenti che consistono in una preferenza per valori legati al consumo di beni materiali e alla proiezione degli ideali comuni sui valori dell’immagine, intesa in questo caso soprattutto come apparenza. E in ciò testimoniano dei nuovi idoli o miti in cui le masse popolari tendono ad identificarsi. Miti ovviamente creati dalla pubblicità e dai mass-media che proiettano sulle masse sempre più bisogni indotti, e non primari, per trasformarli in consumatori sempre più avidi di beni materiali.
In sostanza un quadro di Warhol che ripete l’ossessiva immagine di una bottiglia di Coca Cola ci testimonia come quell’oggetto sia oramai divenuto un referente più importante, rispetto ad altri valori interiori o spirituali, per giungere a quella condizione esistenziale che i mass media propagandano come vincente nella società contemporanea.

Dopo aver trattato in linea generale le correnti che influenzarono l’operato di Buzzati, possiamo comprendere meglio molte cose che forse prima ci sarebbero potute sfuggire. La profondità di significato che si nasconde nei suoi lavori, spesso strettamente legati alla tematica della morte, è sicuramente stata influenzata non solo dai pittori, ma anche dagli scrittori che l’hanno preceduto. Infondo il passaggio dall’ottocento al novecento, come ci dimostra la storia, è stato ricco di cambiamenti sia positivi sia negativi, che hanno portato in seguito a due grandi guerre, e molti artisti lungo questo percorso hanno subito l’influenza di questi cambiamenti. Basti pensare a scrittori come Pascoli, o D’Annunzio, vissuti nel pieno del decadentismo, e del mito del “superuomo” Nietzsechiano. Come abbiamo già detto parlando della storia del fumetto, sul finire degli anni Trenta nacquero gli album (comics books) con i cosiddetti “supereroi” dotati di poteri eccezionali, proiezione sublimante delle inquietudini e delle nevrosi dell’americano medi fra la grande crisi e la seconda guerra mondiale e risposta d’oltre Atlantico all’aggressivo mito europeo del superomismo. Le influenze decadenti quindi colpirono la società del periodo non solo in maniera positiva, ma anche negativa, tant’è vero che si sentì la necessità di arginare questo fenomeno. Nietzsche affermava che il Superuomo è un dominatore, l’individuo eccezionale che può realizzare la propria “volontà di potenza” in piena autonomia, alla luce del motto “divieni ciò che sei”. Il superuomo ha una morale propria, del tutto diversa da quella del gregge; le sue leggi non obbediscono a Dio né ad altri imperativi. Quando si parla di superuomo ci si riferisce all’uomo del futuro, l’uomo che verrà dopo quest’uomo del presente che in nessun modo egli stima e che anzi critica aspramente e senza pietà. Il superuomo è un uomo che verrà quando la società non sarà più così come la conosciamo oggi, egli non sarà come noi, non penserà come noi, sarà semplicemente oltre a noi e dunque potrà guardare a noi guardando indietro nella storia da una posizione più elevata. Il mito del superuomo esalta quindi le capacità di un uomo che non segue la morale comune. Molti decadenti seguirono questa teoria come linea guida nelle loro opere, basti pensare ad Oscar Wilde con il suo “Ritratto di Dorian Gray”, o allo stesso Gabriele D’Annunzio con il suo Andrea Sperelli nel romanzo “Il Piacere”. Entrambe sono persone con una bassa moralità, che seguono la via del piacere e del peccato. Forse però il termine che definirebbe meglio queste due figure della letteratura è Dandy. Anche questo è un simbolo del decadentismo, che si è mantenuto inalterato anche nelle altre regioni dove si diffuse il movimento. Dandy era chi viveva secondo un criterio di eleganza, di “stile” raffinato. Una sorta di estetismo era venuto a crearsi all’epoca: esso si propose come un atteggiamento di protesta di coloro che non si riconoscevano nel grigiore e nel conformismo dell’età vittoriana, che dominava l’Inghilterra dell’epoca. Il bello diventava così l’unica cosa importante della vita; la vita stessa doveva diventare un’opera d’arte, abbeverarsi di tutte le sensazioni più splendide e nuove. In Francia nasce in quel periodo per la prima volta nella storia della letteratura l’idea di una “poesia pura”, in cui l’immaginazione poetica è separata dalla filosofia, dalla storia, dall’eloquenza e da tutti i linguaggi e le finalità, cioè, con cui fino ad allora si pensava che la poesia fosse connessa. Il poeta, per i decadenti, diviene “decifratore” della realtà e della vita: ne coglie le segrete corrispondenze, ne traduce le “analogie universali”, viene attratto da ogni sua espressione, anche dalle più negative, come la malattia, il vizio, e anche la sua negazione: la morte. Ma egli è anche conoscitore della propria angoscia, della propria solitudine che nasce, beffardo paradosso, dall’essere implacabilmente incompreso, schernito e respinto da quello stesso mondo e da quella stessa vita da cui si sente vertiginosamente attratto. Un’immagine positiva e negativa allo stesso tempo, che come spesso accade, e come già specificato sopra, ricade nel tema della morte. Che sia trattato attraverso l’immagine di uomini in apparenza sicuri di sé, o attraverso un antico mito, il tema della morte rimane il punto principale in cui i grandi scrittori a cavallo tra ottocento e novecento basano la loro poetica.




In conclusione

Ho cercato in queste pagine di riassumere quanto di più importante si possa dire sul tema del fumetto, tentando e avvolte riuscendo ad avvalorare la mia tesi, che lo stesso possa essere considerata un’opera d’arte completa. Molti non saranno comunque d’accordo con ciò che io e molti altri hanno affermato, sia qui in questa tesina, che in altre opere letterarie di più alto livello, ma se pur saranno contrari alla mia tesi, di certo non potranno negare il fatto che il fumetto resta comunque qualcosa di fantastico e strabiliante. E quando dico questo mi riferisco ad ogni genere di fumetto, che sia esso di natura comica, o di natura più seria. Ciò che i fumettisti riescono a creare sono mondi, sempre nuovi e diversi, dove il lettore si perde, ride, piange, e vive insieme al protagonista. Se è vero che l’arte deve riuscire a coinvolgere chi la osserva, è anche vero che il fumetto è arte! Se non per l’aspetto pratico, almeno per l’aspetto comunicativo. Certo, anche un libro riesce a coinvolgere una persona, facendo anche volare la fantasia in modo da ricreare quel mondo descritto solo a parole. Ed è pure vero che un’opera d’arte figurativa, che sia un quadro, una scultura o altro, a volte riesce a trasmettere tali emozioni da far pensare ad un fiume di parole che sembra difficile usare per poterlo descrivere. Ma è certo che il fumetto racchiuda in sé la forza del figurativo, unita alla forza della scrittura. Il mondo non lo devi immaginare: è li davanti a te, concreto, stampato su carta, nero su bianco e te devi solo entrarci. E i rumori, i suoni, le voci delle persone che ti circondano sono anch’essi lì, scritti, in modo da dare ancora più sostanza a quel mondo magico che non tutti sono capaci di creare, ma in cui tutti possono entrare e vivere emozioni. Un meraviglioso mondo in bianco e nero, ma ricco di colori che ognuno di noi riesce a percepire, attraverso le immagini, attraverso le parole. Un mondo in cui ognuno di noi, almeno una volta, ha voluto vivere.


Bibliografia:

“L’universale: La grande enciclopedia tematica, Arte vol.1”, Le garzatine.
“Il linguaggio dell’arte - Elena Tornaghi”, Loescher Editore.
“Studiare Storia vol.3 - Marco Fossati, Giorgio Luppi, Emilio Zanette”, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori.
“A regola d’arte vol.5 - Bernini, Rota”, Editori Laterza.
“Come disegnare i manga vol.1 - Società di studio delle tecniche dei manga”, Edizioni lo vecchio.
“Le basi del fumetto vol.1”, Vinciana Editrice.
“La letteratura vol.1 - DiSacco, Baglio, Camisasca, Mangano, Perillo, Serio”, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori.
“Poema a fumetti - Dino Buzzati”, Oscar Mondadori.
“Invito alla lettura di Buzzati – Arslan Atonia”, Mursia editore.
“Nana vol.26 – Ai Yazawa”, edizione italiana Planet Manga.
Supporto multimediale: internet.

19 commenti:

Laura --LO-- ha detto...

ma fare un file word e metterlo linkabile pare brutto? :D

francesca ha detto...

ciao vale,
grazie mille per la tesina che ho trovato davvero cari a e interessante..
hai trattato un bel tema e poi intelligente anche il metodo,davvero condivido.
poi sai che sono d'accordo con la tua tesi e la tua conclusione,il fumetto è un'arte,un'arte completa.
grazie anche per tutte le notizie che ho appreso leggendola..
spero di sentirti presto.
un abbraccione forte.
ps,mi spiace per questi due giorni,spero ti senta un pò meglio.caldo maledetto in città!!

Les Chats Noirs ha detto...

Ciau ^^ e complimenti per la tua tesina!
(ti avevo risposto sul mio blog ma lo faccio anche quì per sicurezza :P)
Ti ringrazio per aver comprato KG, spero che ci incontreremo prima o poi, così ti facciamo un disegnino! Ma lo sai che in molti ci chiedono perchè nella storia si scaccolano tutti? La risposta è che... non c'è un perchè! Forse perchè è una cosa che non si fa, non è educato, di conseguenza è una cosa da "bambini cattivi". Per questo lo fanno tutti coloro che abitano all'inferno.

Ho visto che hai il link di un blog "Gattare nel mondo"! Che belluuu io adoro i gatti... Forse anche qualcosa di più: sento che sono il mio spirito guida, e il mio Sirio è parte della mia anima.
Un bacione,
Chat F.

Les Chats Noirs ha detto...

Mi hai scritto "grazie per non avermi fatto pesare gli innumerevoli errori"...
Ahahah, stai tranquilla che non sarei capace di scovarli questi errori (ammesso che ci siano!).
Sono piuttosto ignorante in materia! In effetti dovrei acculturarmi, data la professione che mi accingo ad intraprendere (senti là che paroloni!).
A parte gli scherzi, brava davvero, la mia tesina era molto più breve! Ricordo che si intitolava "Luce, Colore e Movimento" e il suo tema di base era l'impressionismo (adoro Monet).
Ciau a presto!
Chat F.

Les Chats Noirs ha detto...

Dimenticavo... Anche il mio Sirio deve avere qualche antenato Maine Coon... A parte che pesa 12 kg, ma ha l'ossatura forte e robusta, è lunghissimo (un metro, in pratica) e ha il pelo folto e lungo. Inoltre sotto le zampine e sulle orecchie ha i ciuffetti tipici del Maine Coon... Chissà se davvero ha qualche parente di quella razza?
Adesso la smetto di riempirti il blog coi miei commenti! :D

Chat F.

Valentina B.F. Bertino ha detto...

Ma daaaai...eh direi che è probabilissimo allora che abbia antenati Maine Coon...sono meravigliosi ^_^
Dovrei postare qualche foto della mia Attilina. Ma il mio amore era Vegeta! (uno dei primi figli di Attila). Purtroppo è morto di broncopolmonite...mi si stringe il cuore..era il mio amore grande :(

Cmq tranquilla...riempi pure il blog di commenti che non lo fà mai nessuno, a me fà solo piacere. Se vuoi scrivimi pure...trovi la mia mail affianco, nel blog.

Poi...se ti và dai un'occhiata all'etichetta "Pensieri e opere mie" che ci sono un pò di cosine varie....mi piacerebbe saper fare fumetti come voi...siete fantastici!

Un bacione

^_^

Anonimo ha detto...

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